DA SASAC AD ASAC, UNA STORIA LUNGA 65 ANNI

di Tiziano Passera

Il 1° marzo 1958, davanti al notaio Carlo Burbatti, «È costituita fra i Sigg.ri TORRA EMILIO, TORRA UGO e Professor CALIGARIS ALESSANDRO una Società Accademica sotto la ragione “SOCIETÀ ACCADEMICA DI STORIA ED ARTE CANAVESANA”. Essa è regolata dalle norme che seguono e per quanto non previsto, dalle disposizioni del Codice Civile». Così recita l’Articolo 1 dello Statuto della neonata SASAC, che nella sua prima edizione a stampa reca nel frontespizio il motto in latino “Omnia cum lumine Canavisium florentissima tellus” (“Il tutto con la luce del Canavese fiorentissima terra”).
Con i nomi dei Soci fondatori, è doveroso ricordare in questa sede anche quelli dei Soci costitutori («…in numero di sette…sono membri di diritto a vita della Società e fanno parte di diritto del Consiglio Direttivo», come recita l’Art. 5 dello Statuto), che in quello stesso giorno hanno dato vita alla prima Assemblea sociale: notaio dott. Carlo Burbatti, Pietro Casale, prof. dott. Carmelo Ottino, Renzo Pessatti, ing. Enrico Ranieri, Giuseppe Vachino, maestro Giovanni Zanetto. La compagine sociale, come specifica ancora l’Art. 5, è completata dai Soci effettivi («quelli inizialmente nominati a giudizio inappellabile dei Soci Fondatori e Costitutori, in numero di ventiquattro…tali vita natural durante salvo loro esplicita rinuncia…») e dai Soci Corrispondenti («…coloro che, avendo fatta domanda controfirmata per presentazione da un Socio di una delle tre prime categorie…avranno avuto l’approvazione dal Consiglio Direttivo»).
A proposito di Statuto, diremo ancora che l’Art. 4 così delineava le finalità del sodalizio: «La Società ha per scopo lo studio della Storia, la conservazione dei monumenti, delle tradizioni, delle bellezze artistiche e naturali del Canavese. Essa patrocinerà e favorirà pubblicazioni, studi, conferenze e qualunque altra manifestazione inerente allo scopo».
Anche se l’enunciazione di quest’ultimo articolo statutario appare attualissimo, come si può facilmente evincere da quanto detto in precedenza, l’impostazione della Società Accademica di Storia ed Arte Canavesana era figlia di tempi che a noi, ormai consapevolmente lanciati nel Terzo Millennio, appaiono inesorabilmente lontani. Ed è forse anche per questo che al terzo articolo dello Statuto si legge testualmente: «La durata della Società è fissata fino al trentun Dicembre dell’Anno Duemila. Essa potrà essere prorogata o sciolta anticipatamente col voto di tanti Soci, che rappresentino il settantacinque per cento degli iscritti». È evidente che una tale percentuale di iscritti riuniti in Assemblea (erano, quelli, tempi in cui essi ammontavano a circa seicentocinquanta) era pressoché impossibile da raggiungere, per cui la prosecuzione dell’attività non poté che avvenire con la fondazione di una nuova Società qual è appunto l’odierna Associazione di Storia e Arte Canavesana, costituitasi nel maggio 2001.

A questo punto, in tema di associazioni storiche facenti base a Ivrea ma con riferimento al Canavese tutto, ci corre l’obbligo di ricordare che all’inizio del 1946, tenendo la sua prima Assemblea Generale il 26 gennaio, si era costituita la Società Canavesana di Arte, Storia ed Archeologia, di cui fu nominato presidente il Dott. Comm. Carlo Borbonese, Ispettore Onorario dei Monumenti, Scavi e Oggetti d’Arte. I consiglieri (che riportiamo come indicati sull’opuscolo dedicato al primo anno di vita della Società) erano: Prof. Tullio Alemanni, Pittore; Prof. Dott. Achille Corbelli, Preside del Liceo-Ginnasio “Carlo Botta”; Vittorio Falletti, Pittore e Critico d’Arte, Direttore dell’Ufficio d’Arte ed Estetica Municipale, Segretario Generale dell’Ente Municipale Manifestazioni; Ing. Amedeo Ferrando, Ispettore Onorario dei Monumenti, Scavi e oggetti d’Arte; Canonico Dott. Carlo Notario, Professore del Seminario Maggiore e del Liceo-Ginnasio “Carlo Botta”, Ispettore bibliografico per il Canavese; Signor Ugo Torra. Revisori dei conti: Alessandro Mosca e Renzo Pessatti. L’Associazione, che prevedeva tre categorie di Soci (Benemeriti, Vitalizi e Ordinari) e che poteva contare nelle sue fila su un paio di figure che abbiamo già incontrato tra gli artefici della SASAC costituitasi nel 1958 (segnatamente Ugo Torra e Renzo Pessatti) aveva come principale punto di riferimento il commendator Vittorio Falletti, personaggio di spicco della cultura eporediese, passato alla storia con l’appellativo altisonante di “Propulsor Creator” per la sua instancabile opera a favore di iniziative ed eventi di carattere storico-artistico.

Le tre uniche pubblicazioni edite dalla Società Canavesana di Arte, Storia ed Archeologia
Le tre uniche pubblicazioni edite dalla Società Canavesana di Arte, Storia ed Archeologia

Il primo anno di attività fu sufficientemente vivace e proficuo, come si evince dal resoconto comparso sul citato opuscolo: 43 pagine fitte di notizie e di articoli biografici, come quelli sullo scrittore Giovanni Cena, Re Arduino, il musicista Angelo Burbatti, lo storico Francesco Carandini, il poeta Guido Gozzano e, in ultimo, sulle peculiarità naturali-artistiche-letterarie della Dora Baltea. Nel 1947 venne dato alle stampe anche il volumetto di dieci pagine Pietro Alessandro Yon. Compositore e concertista d’organo. Organista della Cattedrale di New-York. 1886-1943, di cui era autore il canonico Giacomo Chiarodo. Nel 1949, stampata dalla Tipografia Davide Bologino, fu la volta dell’opera di Domenico Anelli Un’eroica figura del Risorgimento. Ettore Perrone di S. Martino. Una quarantina di pagine che (oltre a presentare una biografia esauriente del generale canavesano perito giusto cent’anni prima nella battaglia di Novara), riportavano in chiusura l’auspicio della Presidenza della Società verso «…la prosecuzione, la ripresa dello svolgimento di quel programma di culturale attività che è nel fervente, concorde intento di quanti amano, ammirano la nostra regione e se ne interessano come studiosi, per quel cospicuo, spirituale patrimonio che rappresenta».
Manco a dirlo, le speranze di Falletti & C. andarono deluse e nel giro di poco tempo, dopo un quinquennio scarso di attività, la Società Canavesana di Arte, Storia ed Archeologia chiuse i battenti piuttosto ingloriosamente, nonostante gli inizi tutto sommato promettenti.

Aosta, 1966. Da sinistra Emilio Torra, l’ing. Giuseppe Ravera, il prof. Alessandro Caligaris e Ugo Torra
Aosta, 1966. Da sinistra Emilio Torra, l’ing. Giuseppe Ravera, il prof. Alessandro Caligaris e Ugo Torra

Ma torniamo alla SASAC. Dopo poco meno di un paio d’anni di logico assestamento, sotto la presidenza di Ugo Torra (presso la cui abitazione, in via Cuniberti 7, era stabilita “la sede permanente e inamovibile”), la Società Accademica di Storia ed Arte Canavesana iniziò la sua attività editoriale, destinata a diventare negli anni un insostituibile punto di riferimento per gli appassionati e i cultori delle memorie storiche eporediesi e canavesane. Un’attività che, manco a dirlo, vide come principali artefici i tre Soci Fondatori, i fratelli Emilio e Ugo Torra e il professor Alessandro Caligaris, che riuscirono in breve ad aggregare intorno a loro uno “zoccolo duro” di studiosi che nel tempo avrebbero costituito l’asse portante della stessa Società: da Renato Béttica-Giovannini a Giuseppe Ravera, a don Ilo Vignono, per citarne solo alcuni.

La prima edizione a stampa dello Statuto della SASAC e il Bollettino n. 1 del 1961
La prima edizione a stampa dello Statuto della SASAC e il Bollettino n. 1 del 1961

La prima pubblicazione edita dalla SASAC fu Bandi Campestri della Città di Chivasso (scritta dallo storico chivassese Renato Béttica-Giovannini), che porta la data del settembre 1960, seguita nel dicembre dello stesso anno da Divagazioni su un’antica strada Ivrea-Vercelli, autore il Cancelliere della Curia Vescovile d’Ivrea don Ilo Vignono, che di lì a qualche anno avrebbe assunto il ruolo di direttore della Biblioteca Diocesana. Terzo in ordine di tempo, nella successiva primavera del 1961 vide la luce il Bollettino n. 1, destinato però a rimanere un fatto isolato, tant’è che quello che avrebbe assunto la denominazione di Bollettino d’informazione ai soci sarebbe uscito per la prima volta soltanto nel 1975, proseguendo quindi senza intoppi le pubblicazioni sino ai giorni nostri.
Certo, quel Bollettino n. 1 uscito nell’aprile del 1961 era ben diverso dai bollettini attuali, essendo il suo contenuto basato essenzialmente sullo Statuto e sul Regolamento, composto da ben 47 articoli raggruppati in otto paragrafi: Consiglio Direttivo, Presidente, Organi Esecutivi, Nomina Effettivi, Nomina Consiglio Direttivo, Finanze, Pubblicazioni, Varianti. Seguono poche paginette dedicate agli “Atti della Società” e alla “Seduta Straordinaria del Consiglio Direttivo” del 27 marzo 1961, attraverso i quali i Soci vengono informati sul rinnovo dell’esecutivo della SASAC, alla cui presidenza viene nominato il professor Alessandro Caligaris, avendo come “vice” Emilio Torra, Tesoriere l’ingegner Giuseppe Ravera e Segretario Luciano Girodo (confermato). Dal canto loro Piero Bertotti di Cuorgné e Carlo Salvi di Cirié subentrano agli eporediesi Pietro Casale e Carmelo Ottino quali membri del Direttivo, a conferma della connotazione canavesana che l’Associazione vuole darsi. La riunione di fine marzo pone altresì le basi per la pubblicazione di una monografia in sintonia con il Centenario dell’Unità d’Italia, che sarà pubblicata due anni dopo, curata dal presidente Caligaris e dal “vice” Emilio Torra: Galleria Risorgimentale Canavesana.

Dato il dovuto risalto alle vicende societarie del periodo iniziale, vale la pena ora focalizzare l’attenzione sulle persone che furono artefici della costituzione della Società Accademica di Storia ed Arte Canavesana, vale a dire il professor Alessandro Caligaris e i fratelli Emilio e Ugo Torra.
Emilio Torra, essendo nato nel 1903 era il più anziano dei due fratelli eporediesi. Tuttavia egli ebbe la ventura di nascere a Cuorgné, in quanto il padre Giovanni, originario di Brusnengo nel Biellese, era archivista del Quarto Alpini, all’epoca distaccato nella caserma del centro altocanavesano. Fu così che il piccolo Emilio divenne “fratello di latte” di quel Callisto Caravario futuro sacerdote missionario salesiano, martirizzato nel 1930 in Cina insieme al vescovo Luigi Versiglia, con il quale fu canonizzato nel 2000 da Papa Giovanni Paolo II. Una volta “rimpatriato” a Ivrea, Emilio si mise ben presto in luce in ambito religioso, diventando il primo presidente dell’Azione Cattolica locale, animando insieme ad altri giovani coetanei l’Oratorio San Giuseppe, fondando la sezione eporediese dei boy scouts. Da quell’appassionato di storia locale che dimostrò subito di essere, in cuor suo Torra coltivò anche il desiderio di fondare un’associazione che si occupasse di storia canavesana, ma dovette ben presto arrendersi all’evidenza dei fatti: non erano quelli tempi propizi per la creazione di sodalizi non allineati al regime dittatoriale.
Con l’ingresso nell’apparato comunale prima come addetto e poi come responsabile dell’Ufficio Economato, Emilio Torra ebbe modo di evidenziare le sue capacità di funzionario solerte e integerrimo, doti che gli erano unanimemente riconosciute. E proprio grazie al suo ruolo di funzionario municipale poté prodigarsi, esponendosi a seri rischi personali, nel salvataggio dei reperti del Museo Garda, da decenni in attesa di sistemazione, durante l’occupazione tedesca. A guerra finita la sua generosità a tutela delle memorie storiche cittadine gli valse la nomina a Conservatore del Museo Civico Garda, mentre nel dicembre 1974 con Decreto Ministeriale venne nominato Ispettore Onorario per i Monumenti, le Antichità e le Opere d’Arte di Ivrea e del Canavese. Naturalmente Emilio Torra non lesinò il suo impegno sul fronte culturale, che si espresse nel costante, generoso impegno a favore della SASAC, di cui fu uno dei tre soci fondatori, rivestendo il ruolo di vice presidente, preferendo infatti lasciare ad altri quello di vertice, che pure gli sarebbe spettato di diritto.
Il suo nome resta legato soprattutto alla scoperta dei ruderi e alla definizione del tracciato dell’acquedotto romano dell’antica Eporedia, in collaborazione con quegli insigni studiosi che furono monsignor Gino Borghezio e l’avvocato Galileo Pinoli. Proprio a Emilio Torra si deve poi il rinvenimento delle tracce eporediesi (San Gaudenzio, Santa Croce, ex Convento di San Francesco) del pittore Luca Rossetti da Orta, di cui scrisse per primo nel lontano 1942 sul Bollettino Storico Bibliografico Subalpino. Per restare alla SASAC, di lui rimangono, insieme ad alcuni articoli comparsi sul Bollettino (ma almeno altrettanti sono rimasti inediti), gli studi monografici sulla chiesa di Santo Stefano di Sezzano in Chiaverano e la Galleria Risorgimentale Canavesana, curata insieme al professor Caligaris. Né va dimenticata l’instancabile opera di trascrizione dal manoscritto della Istoria di Ivrea di padre Giovanni Benvenuti, di cui avremo modo di riferire più avanti.
Emilio Torra ci lasciò nel settembre del 1982, destando unanime rimpianto. Sul Bollettino sociale dell’anno successivo ne venne tracciato un profilo affettuoso ed essenziale, in linea con il suo carattere e il suo stile di vita: «…Non possiamo non ricordare l’uomo che dall’anteguerra ad oggi si è “battuto” senza sosta per tramandare il messaggio storico e culturale giunto sino a noi, anche quando erano ben pochi coloro che si ergevano a contrastare in nome di puri valori culturali un “credo” industriale, consumistico e meccanicistico, che oggi tutti ammettono fuorviante».

fratelli Emilio (a destra) e Ugo Torra, nell’intimità familiare
fratelli Emilio (a destra) e Ugo Torra, nell’intimità familiare

Ugo Torra nacque nel 1918, quindi ben tre lustri dopo Emilio, mentre nel frattempo la loro famiglia era stata allietata dalle nascite delle sorelle Teresa e Maria. La logica affinità culturale tra i due fratelli favorì un’intensa collaborazione sul fronte storico-artistico di cui la fondazione della SASAC fu indubbiamente l’esempio più eclatante. Tuttavia Ugo si differenziava alquanto da Emilio nel carattere. Schivo e poco incline ad apparire quest’ultimo, più diplomatico e disinvolto “uomo di mondo” il fratello più giovane, che resse le sorti dell’associazione da loro fondata nel 1958 per il primo triennio e quindi ininterrottamente dal 1974 al 1998, anno della sua scomparsa.
Fu così che per un buon quarto di secolo Ugo Torra fu l’indiscusso “nume tutelare” della SASAC, cui dedicava gran parte del suo tempo libero, specie dopo aver lasciato l’incarico di contabile presso la Società Idroelettrica di Borgofranco, che aveva costituito la sua principale attività lavorativa. La sua abitazione di via Cuniberti rappresentò in quei lunghi anni un “porto sicuro” per tutti coloro che aderirono alla causa societaria iscrivendosi e furono veramente tanti: i soci arrivarono anche a sfiorare la ragguardevole cifra di settecento, un numero enorme (oggi difficilmente avvicinabile), rispetto alle poche decine dei faticosi tempi d’esordio della Società Accademica.
Anche nel caso di Ugo, vale la pena riportare quanto venne scritto in suo ricordo dal Consiglio Direttivo sul Bollettino n. 25, uscito nel 1999: «Nei lunghi anni in cui ha guidato la Società, Ugo Torra ha inteso sviluppare molte relazioni con altre associazioni culturali, con relativo scambio di pubblicazioni: cosciente della necessità ed importanza di tali contatti, in quanto stimolo, occasione di confronto su indagini e metodologie, per rendere sempre più viva e proficua la vita associativa. Da tale sensibilità scaturirono persuasivi esiti per una migliore definizione di ciò che siamo stati nel raccolto mondo della nostra città e dei nostri paesi. L’incontro con la storia della “piccola patria”, con la storia di quel passato in cui affondano e da cui traggono linfa le nostre radici, rinnovandosi, mantiene intatti i propri ideali. Non permettere che si cancelli la memoria: anche per questa via passa il faticoso andare verso il domani. Non “storia locale” ma semplicemente storia; non curiosità o folklore, o nostalgiche rimembranze, bensì “cultura locale” quale possibilità di affrontare nuovi problemi, di porre inedite domande. Moderna metodologia scientifica mai, comunque, totalmente slegata da affetti e da suggestioni: in una parola da quella devozione verso “i reperti del passato che erano e sono materia di noi stessi e della nostra memoria di comunità”».
Al suo indiscusso amore per la terra canavesana, Ugo Torra abbinò sempre quello per la vicina Valle d’Aosta, come testimonia tra l’altro la sua partecipazione attiva all’aostana Académie de St. Anselme, che gli consentì di sviluppare amicizie e conoscenze di un territorio che per lui ha rappresentato una sorta di patria d’adozione. Una passione espressasi attraverso una notevole mole di ricerche, che fruttarono una serie di opere pregevoli dedicati alle bellezze storiche e artistiche delle Valli di Challant-Ayas, Champorcher, Gressoney e Valtournenche. Valli che conosceva a menadito, da instancabile escursionista qual era, naturale espressione sul campo del suo impegno di segretario della Sezione Giovane Montagna del Cai eporediese, incarico svolto con scrupolo e dedizione per parecchi anni.
Alessandro Caligaris era un insegnante di italiano, storia e latino, approdato a Ivrea nel 1950, quale docente del triennio superiore dell’Istituto Tecnico “Bollo”. Nato a Torino nel 1902 e laureatosi in materie letterarie a soli 21 anni, rivelò ben presto un’innata passione per la storia e la scrittura, tant’è che già nel 1924 diede alle stampe i volumi Maria di Champagne e le Corti d’amore (Ed. Loescher, Torino) e Sette Leggende Alpine (Tipografia Sociale Editrice, Pinerolo). Un’attività editoriale, quella del professor Caligaris, che lo vide attivo sia tra le due guerre (con saggi su Foscolo, Galileo, la storia ebraica a uso degli istituti tecnici, il Piemonte di Cateau-Cambrésis, metrica italiana e latina e altro ancora) sia negli anni 50/60 del Novecento, quando ormai aveva eletto Ivrea e il Canavese a sua seconda patria.

Il professor Alessandro Caligaris e due sue pubblicazioni degli anni giovanili
Il professor Alessandro Caligaris e due sue pubblicazioni degli anni giovanili

Del terzetto dei fondatori della SASAC, il professor Caligaris era indubbiamente il più colto, come si evince anche dalla lettura degli incarichi occupati in vari istituti scolastici italiani (dal Piemonte alla Lombardia, alla Campania), dalle onorificenze ricevute e dalle partecipazioni di prestigio, quali ad esempio quelle all’Accademia delle Scienze e all’Accademia Tiberina entrambe di Roma, risalenti agli anni Sessanta, di cui egli andava giustamente orgoglioso.
A Ivrea, come detto, il professor Caligaris arrivò nel 1950, in un frangente particolarmente difficile della sua esistenza, avendo egli nell’agosto del 1946 perso tragicamente l’unico figlio maschio, Gustavo, caduto durante un’escursione sulle alture di Crissolo, alle falde del Monviso, quando era appena sedicenne. Quella disgrazia gettò un’ombra greve sulla sua vita, che il tempo non riuscì mai ad attenuare. Gli unici reali momenti di distrazione derivavano dall’insegnamento (nel capoluogo canavesano dopo il “Bollo” fu la volta degli anni d’esordio dell’Istituto Tecnico Industriale “Olivetti” e infine a partire dal ʼ68 dell’Istituto Tecnico Commerciale “Cena”) e dagli studi storici, ai quali si dedicò con competenza, passione e inusuale rigore scientifico. Non per niente sulla sua carta intestata e sul suo biglietto da visita volle inserire sotto il nome la dicitura “Cultore delle patrie glorie canavesane – Scrittore”, che quanti ebbero la ventura di conoscere Caligaris o anche solo di ascoltare le sue lezioni non possono che confermare con cognizione di causa.
Per la biblioteca della SASAC (di cui fu presidente nel triennio 1961/63) curò direttamente la pubblicazione della Galleria Risorgimentale Canavesana (insieme a Emilio Torra) e del Significativo discorso di un medico illuminista canavesano dell’ultimo Settecento (con Gianni Scanzio), contribuendo inoltre ad alcune opere miscellanee. Egli dedicò anche un volumetto a Ronco Canavese, dove negli anni d’infanzia la sua famiglia trascorreva il periodo estivo. Quando il professor Alessandro Caligaris se ne andò, nel giugno 1971, a un mese dal compimento del 69° anno, in tanti ebbero la sensazione che molto avrebbe ancora potuto dare alla causa della cultura canavesana, pur avvertendo che con l’avanzare dell’età fosse sempre più impellente in lui il desiderio di ricongiungersi con il figlio perduto tragicamente su quei monti che entrambi amavano.

Grazie alla costante, accorta e generosa opera di promozione della cultura delle nostre radici svolta sul territorio canavesano, la SASAC non tardò a diventare un importante e talvolta insostituibile punto di riferimento per l’ambiente culturale di Ivrea e Canavese. Le sue pubblicazioni poco alla volta assunsero sempre maggiore consistenza, sia dal punto di vista “tattile” che in quanto a contenuti, destinati in parecchi casi a diventare delle vere e proprie “pietre miliari” della storiografia canavesana.
E così nel 1970 uscì il De bello canepiciano di Pietro Azario, con traduzione di Ilo Vignono e Pietro Monti. L’anno dopo fu la volta dei Canti popolari noti nell’Alto Canavese a cura di Amerigo Vigliermo, seguito da Musica e musicisti in Canavese di Renzo Pessatti (1972), dalle Pagine di musica sacra di Angelo Burbatti (1975), dalle Notizie storiche su Ivrea di Pietro Giustiniano Robesti (1977), dalle ristampe anastatiche dei volumi dedicati dall’architetto Camillo Boggio alle chiese del Canavese (1978), dal primo volume di Piero Venesia riguardante le vicende della Pedànea (1978), dalla biografia di Madre Antonia Maria Verna curata da Gian Savino Pene Vidari (1978), dalla ponderosa raccolta di Documenti di storia canavesana di Mario Bertotti (1979).
Gli intensi anni Settanta chiusi col magistrale saggio di Venesia sul Tuchinaggio videro nel ʼ76 giungere in porto la più complessa, impegnativa e al tempo stesso gratificante impresa editoriale della quarantennale produzione della SASAC: la Istoria dell’antica città di Ivrea di padre Giovanni Benvenuti. Erano anni, anzi diversi decenni, che gli appassionati di storia canavesana ne attendevano la pubblicazione. Tuttavia la mole dell’opera (il volume curato dal Direttivo dell’Associazione per gli editori Fratelli Enrico supera le 800 pagine) aveva sempre finito con lo scoraggiare i precedenti tentativi editoriali, come quello a puntate intrapreso nel 1926 da Il Corriere Canavesano, curato da Gianni Oberto, grazie alla disponibilità del manoscritto (forse quello originale, come ebbe modo di affermare il canonico Ilo Vignono) in possesso dell’avvocato Mario Rossi, all’epoca sindaco in procinto di diventare il primo podestà eporediese. Pubblicazione che, come noto, rimase inopinatamente incompiuta.
Per parte nostra, sappiamo con certezza che sin dai primi anni di vita della SASAC l’Istoria del Benvenuti stava in cima alla lista dei desideri dei suoi fondatori, fratelli Torra e professor Caligaris, che finalmente nella riunione del Direttivo dell’11 novembre 1967 videro concretizzarsi le loro aspirazioni, ancorché soltanto attraverso il progetto di un’edizione in forma fotostatica. Possiamo quindi facilmente immaginare il compiacimento del presidente ingegner Giuseppe Ravera quando, con comunicazione datata 2 luglio 1969, poté informare i Soci che «…in questi giorni sono stati definiti con l’Editore (Fratelli Enrico, nda) i nuovi accordi per la stampa della “Istoria della Città di Ivrea” di Giovanni Benvenuti. Dopo la nostra circolare dell’aprile 1968 (con la quale era stata annunciata la edizione del suddetto volume in veste ciclostilata al prezzo di L. 5.000), essendovi state molte richieste per il miglioramento della edizione, si sono iniziate trattative con l’Editore ora perfezionate con nostra soddisfazione, in quanto il volume potrà uscire rilegato e stampato in veste dignitosa entro il Natale del 1969 al prezzo eccezionale di L. 6.000 per i Soci, franco Ivrea (L. 12.000 per i non Soci)…». Forse non è superfluo rammentare che all’epoca la quota sociale era di 2.000 lire…
Certo, un passo decisivo era stato compiuto, ma la tempistica non fu propriamente quella annunciata (con un evidente eccesso di ottimismo), dal presidente Ravera, tant’è che la stampa dell’opera fu ultimata dal rinomato Stabilimento Tipografico Ferrero di Romano Canavese soltanto nel giugno del 1976. Le infinite traversie e problematiche di varia natura incontrate nell’edizione della “Istoria” di padre Benvenuti sono ben descritte da Emilio Torra nella sua Introduzione al volume, partendo dalla considerazione di base direttamente connessa all’esistenza di almeno quattro o cinque versioni manoscritte, tra le quali era tutt’altro che facile individuare l’originale da cui erano state realizzate le altre copie.

Due pagine dell’introduzione “Al benigno lettore” del manoscritto conservato nella Biblioteca Civica “Nigra” di Ivrea, sulle quali si può leggere, in senso verticale, il nome dell’autore, “Padre Giò Benvenuti Rettore del Collegio della Dottrina Cristiana di Ivrea”
Due pagine dell’introduzione “Al benigno lettore” del manoscritto conservato nella Biblioteca Civica “Nigra” di Ivrea, sulle quali si può leggere, in senso verticale, il nome dell’autore, “Padre Giò Benvenuti Rettore del Collegio della Dottrina Cristiana di Ivrea”

Il primo problema, di non poco conto, consisteva nell’ottenere la disponibilità di uno dei manoscritti (giacenti presso biblioteche pubbliche e private) per il tempo necessario alla indispensabile trascrizione in funzione della impaginazione tipografica: «…non sarebbe mai stato pensabile consegnare tout court il manoscritto (di tutt’altro che facile lettura) e pretendere che il compositore si arrangiasse – scrive Emilio Torra -. Occorreva ricopiare il testo di sana pianta! Chi si sarebbe preso questo incarico? E da quale copia tra le poche esistenti? Uno dei Soci Costitutori della Società, l’Ing. Enrico Ranieri, fu Colui che affrontò questo scoglio e si assunse l’onere (economico, nda) dell’impresa (mentre la battitura a macchina se l’accollò lo stesso Torra, nda). La copia prescelta fu quella di proprietà degli Eredi Pinoli…. Furono così battute a macchina, in quattro esemplari, più di seicento pagine di fitta e minuta calligrafia».
Tutto risolto, quindi? Macché… Si era nel ʼ67, dunque ancora ben lontani dal traguardo, poiché «…Elencare e descrivere gli inciampi, i problemi, le complicazioni che a mano a mano si presentavano – riferisce ancora Torra – sarebbe oneroso per chi scrive e tedioso per chi legge… Il manoscritto su fogli a doppio margine ha su questi una valanga di note, noticine e richiami…l’idea di impaginare testo e note nella disposizione originale del manoscritto era improponibile per le enormi difficoltà tipografiche…tralasciamo i quesiti che si ponevano per le abbreviazioni, di cui l’Autore usa e abusa, l’indice di alcune, l’estensione di altre… I rompicapi furono tali da indurre, più d’una volta, alla tentazione di rinunciare».
Superati a fatica tutti questi ostacoli, si giunse al testo definitivo nel ʼ72. «Ma c’è una lacuna: manca l’indice – scrive Torra nell’Introduzione -ed è tale la stanchezza della sparuta schiera di collaboratori che quasi prevale l’idea di rinunciarvi. I saggi consigli degli Esperti però alla fine prevalgono. Senza indice dei luoghi e delle persone, infatti, il libro non è consultabile e perciò inutilizzabile da chi vi cerca dati, notizie, riferimenti e citazioni… Ed ha inizio la parte che si può definire più faticosa….basterebbe pensare alla mole dell’Opera, all’infinità di nomi e luoghi citati, colla complicazione tremenda, delle omonimie che insistono specie nel periodo medievale… Se una équipe ristretta collaborò alla estrazione dei dati, su qualcuno soltanto ricadde tutto il lavoro e questo per ottenere una uniformità di criterio irraggiungibile coll’affidamento a diverse persone».
Fu così che, superate le ultime fasi di lavorazione tipografica, l’opera giunse finalmente a compimento nel 1976, pronta per essere fruita da tutti gli studiosi e dai semplici appassionati e curiosi desiderosi di approfondire la conoscenza di ampi periodi della storia eporediese che erano stati affrontati in modo molto superficiale dagli altri storici, compreso Francesco Carandini nella sua pur fondamentale Vecchia Ivrea.
A fronte di tutto ciò, la nostra ammirazione per coloro che contribuirono a vario titolo al compimento dell’impresa editoriale della Istoria del Benvenuti, non può che essere totale, unita a un doveroso senso di riconoscenza destinato a permanere nel tempo.

Con la pubblicazione della storia d’Ivrea del Benvenuti, la lunga stagione editoriale della SASAC era ormai entrata nel vivo. Negli anni Ottanta e Novanta si susseguirono in rapida successione opere destinate a lasciare un segno indelebile nella storiografia canavesana: l’Adrianeo (dell’anonimo identificato in un tale Antonino), il Facino Cane di Piero Venesia, autore anche dell’insuperata e fondamentale trilogia sul Medioevo in Canavese, Il getto delle arance nel Carnevale d’Ivrea (di Gabriella Gianotti e Franco Quaccia), Le miniere dei “Baduj” di Traversella (di Guglielmo Berattino), Educazione fisica e sport tra ideali e simboli (di Liliana Bovo e Franco Quaccia, uno dei più prolifici autori, sia di monografie che di contributi ai Bollettini), le Memorie di Pier Alessandro Garda (a cura di Giuseppe Fragiacomo), le biografie di Luigi Palma di Cesnola, Michele Allemandi, Giacomo Pavetti (tutte di Roberto Damilano), la storia di Parella (di Gino Vernetto), il memoriale In Egitto prima di Napoleone (di don Lorenzo Pinchia), e ancora le ricchissime miscellanee di saggi inediti Il nuovo volto e Archeologia e Arte in Canavese.
La serie potrebbe continuare ancora a lungo, come si può facilmente verificare leggendo gli elenchi e gli indici delle monografie contenuti nel presente Catalogo. Né va comunque dimenticata l’importanza rivestita dai Bollettini annuali, la cui serie principiò nell’aprile 1975. Gli auspici espressi sul primo numero dall’allora presidente Ugo Torra («Questo Bollettino vuole essere un ponte fra tutti i Soci, intende aprire tra di essi un dialogo fruttuoso, si propone di favorire con la pubblicazione dell’elenco Soci 1974 la conoscenza reciproca. Ci auguriamo, ed è nostra intenzione, sia il primo di una lunga serie») possiamo ben dire che siano stati raggiunti, specie per quanto concerne la continuità dei Bollettini. Non solo: nel tempo (nell’anno 2024 si arriverà al significativo traguardo della cinquantesima edizione consecutiva) essi hanno assunto sempre maggiore consistenza, arrivando anche a pubblicare una decina abbondante di saggi per numero, contributi nella quasi totalità accomunati dal fatto di essere inediti e in taluni casi di rilevanza tale da meritare un volume a sé stante.

Già abbiamo illustrato le figure dei tre Soci Fondatori, ma in questa sede è doveroso dare il giusto risalto ad altre figure di storici che hanno fornito un contributo decisivo alla crescita della SASAC, sia con le loro opere che – verrebbe da dire “ancora di più” – attraverso l’attento e instancabile impegno editoriale nella scelta e nella cura delle varie pubblicazioni.
Giuseppe Ravera è stato per quasi mezzo secolo (includendo anche il periodo iniziale dell’ASAC) una delle colonne portanti della nostra Associazione. La sua professione di ingegnere possiamo ben dire che abbia felicemente ispirato le metodologie e lo stile delle sue ricerche e dei suoi saggi storici, improntati a un rigore che troppo sovente non è riscontrabile in tanti autori che si cimentano con eccessiva disinvoltura in una materia che solo apparentemente è di facile attuazione. Le conoscenze dell’ingegner Ravera traevano indubbio vantaggio dalla sua fornitissima biblioteca, che spaziava ben oltre il territorio canavesano, conoscenze che nel contempo contribuivano ad arricchire il patrimonio culturale di tutti coloro che avevano l’opportunità di conoscerlo e di fruire delle sue “lectio magistralis” dispensate con generosità, anche al di fuori delle occasioni ufficiali. Giuseppe Ravera ha ricoperto il ruolo di presidente della SASAC. per giusto un decennio, tra il 1963 (subentrando al professor Alessandro Caligaris) e il ʼ73, quando rimase “vice” per ancora un quinquennio sotto la guida del cavalier Ugo Torra ed essendo infine ancora vicepresidente dei primi anni della nuova ASAC. Per un maggiore approfondimento della figura dell’ingegner Ravera (di cui va altresì rimarcato l’impegno nel Rotary Club eporediese), è d’obbligo rimandare alla biografia curata da Lorenzo Faletto edita dall’ASAC nel 2011. Diremo ancora soltanto che egli scrisse insieme a don Ilo Vignono Il “liber decimarum” della Diocesi di Ivrea (1368-1370), uscito nel 1970, mentre nel 1977 è stato coautore insieme al citato Faletto del pregevole Ivrea e Canavese nelle antiche stampe, peraltro edito esternamente alla Società Accademica. Numerosi inoltre i suoi preziosi contributi comparsi sui nostri Bollettini, oltreché su giornali, riviste e periodici di varia natura. Giuseppe Ravera, che era nato nel marzo 1925 a Châtillon, ci ha lasciato nel luglio 2007.

Il canonico Ilo Vignono, l’ingegner Giuseppe Ravera e il dottor Piero Venesia
Il canonico Ilo Vignono, l’ingegner Giuseppe Ravera e il dottor Piero Venesia

Don Ilo Vignono (Azeglio 1921-Ivrea 1997), canonico della Cattedrale d’Ivrea, Cancelliere della Curia e infine Direttore della Biblioteca Diocesana, è uno di quei personaggi che quando vengono a mancare lasciano un vuoto difficile da colmare, sia dal punto di vista umano che da quello “professionale”, in questo caso riferito alle composite schiere dei cosiddetti “topi di biblioteca”. La preparazione e l’affabilità del canonico Vignono (che era anche un valente paleografo) per diversi decenni hanno rappresentato un punto di riferimento sicuro e affidabile per studiosi e ricercatori smaniosi di completare le loro indagini storiche con quanto di più nascosto e per questo più appetibile rientrava nel patrimonio cartaceo custodito dalla Biblioteca Diocesana. E, manco a dirlo, il mai troppo compianto don Ilo ha avuto l’opportunità di approfittare (in senso positivo) del suo incarico per scrivere saggi di tutto rilievo, validissimi ancora oggi, a sessant’anni buoni dalla loro pubblicazione. Si pensi ai volumetti sull’antica strada Ivrea-Vercelli o sugli undici ospedali eporediesi, all’appena citato Liber Decimarum scritto con l’ingegner Ravera, ai due voluminosi tomi su Incunaboli / Cinquecentine della Biblioteca Diocesana (di cui fu coautore con Bruno Giglio, per Bolognino Editore), alla traduzione (insieme a Pietro Monti) del De bello canepiciano di Pietro Azario, alla riedizione da lui curata dell’Inventario dei manoscritti della Biblioteca Capitolare di Ivrea (scritta qualche anno prima del Novecento da Alfonso Professione) o ancora ai numerosi, puntuali contributi pubblicati sul Bollettino annuale dell’Associazione.

Piero Venesia ha lasciato una traccia indelebile nella storiografia locale, grazie alle sue numerose pubblicazioni dedicate al Canavese e alla confinante Valle d’Aosta. Laureato in Medicina e Chirurgia e quindi specializzato in Odontoiatria, a partire dall’ultimo dopoguerra ha avuto modo di farsi apprezzare dai suoi pazienti per le sue innegabili capacità professionali e per le sue doti umane. Parallelamente, Venesia trovava il tempo per dedicarsi alla sua grande passione, la ricerca storica, di cui divenne ben presto uno dei maggiori esperti, per quanto riguarda il territorio canavesano, ma non solo… Titoli come quelli sul Tuchinaggio, su Facino Cane, sulla Pedànea (nel frattempo divenuta la sua patria d’adozione), sul Medioevo in Canavese (ben tre, di cui l’ultimo uscito postumo), tanto per citare i volumi usciti nella collana della SASAC, sono e resteranno a lungo dei punti di riferimento insostituibili per gli studiosi e i cultori di cose canavesane. Ugualmente importanti sono i testi dedicati alla favolistica canavesana (La storia l’è bela…) e alla vicina Valle d’Aosta (Ibleto di Challant e Chamois, dove amava trascorrere meritati periodi di riposo… lavorando alle sue opere). Quando Piero Venesia mancò, nell’ottobre dell’87 (in quel momento ricopriva la carica di vice presidente della SASAC) aveva solamente 66 anni, essendo nato nel febbraio del 1921 a Castellamonte. Al di là del sincero dolore per la scomparsa di una persona amica, tutti i cultori delle vicende storiche canavesane protagoniste dei suoi libri ebbero netta la sensazione di aver perso con lui uno storico di vaglia, che certo tanto avrebbe ancora avuto da raccontarci su fatti e persone della nostra terra.

Quando il cavalier Ugo Torra si spense improvvisamente, nel giugno 1998, la gloriosa SASAC si stava incamminando nel viale del tramonto. Non perché l’Associazione stentasse a tirare avanti, ché era in ottima salute (forte dei suoi oltre seicento Soci), quanto piuttosto perché si avvicinava a grandi passi la scadenza prevista dal terzo articolo dello Statuto per la cessazione della Società stessa, fissata alla fine del 2000.
A guidare il sodalizio nei suoi due ultimi anni di vita venne designato Guglielmo Berattino: una scelta più che naturale, in considerazione del fatto che egli era uno dei veterani della compagine sociale, in cui era entrato nei primissimi anni Sessanta, in giovanissima età, avendo inoltre espletato puntigliosamente e a lungo le mansioni di tesoriere. Ricercatore instancabile e versatile, come si evince dagli indici del presente Catalogo, Berattino è stato uno degli autori più prolifici, con diversi titoli tra le monografie (su tutti Le miniere dei “Baduj”, Il Convento di Sant’Agostino e La Biga etrusca di Monteleone di Spoleto) e numerosissimi articoli comparsi sulle pagine dei Bollettini.
Per un buon quarantennio la SASAC fruì dell’opera di una schiera di ottimi storici «…affiancato – come puntualizzò opportunamente Giuseppe Ravera sul Bollettino dell’anno 2000 – dalle indagini profonde di docenti, di seri studiosi dilettanti, di studenti scrupolosi e tutti armati chi della propria fede, chi del proprio impegno sociale, chi del tarlo di una curiosa indagine, chi del rispetto del passato, chi della fiducia dell’avvenire. Tutte queste caratteristiche ci hanno convinto che se la Società Accademica di Storia e Arte Canavesana vedrà col 31 dicembre 2000 spirare il tempo prefissato nello Statuto originario, altra Società continuerà nel nome e nello spirito le stesse finalità dichiarandosi sin d’ora erede della prima ben lieta ed onorata di vestirne le stesse vesti e professarne gli stessi voti. I Soci che fino ad ora ci hanno accordato fiducia sono i giudici del nostro operato e, continuando l’adesione, potranno dimostrare di condividerne i comportamenti».
L’ingegner Ravera fu facile profeta, d’altra parte conosceva assai bene l’ambiente da lui frequentato subito dopo la fondazione del 1958…

Tutto procedette come previsto, all’insegna della continuità, come testimonia l’elenco dei fondatori dell’ASAC, ben più numerosi del terzetto del 1958, di cui in vita non ormai non era rimasto nessuno. L’Atto notarile con lo Statuto registrato il 24 maggio 2001 a Torino dal dottor Agostino Revigliono riportava infatti i nomi di Gian Savino Pene Vidari, Luigi Bertotti, Laura Bertolotti in Aluffi, Guglielmo Berattino, Lorenzo Faletto Baciorda, Carlo Fiore, Domenico Forchino, Luigi Giorda, Franco Quaccia, Giuseppe Ravera, Giovanni Torra, Riccardo Cerrano, Giuseppe Fragiacomo, Gian Carlo Pavetto, Adolfo Pellerey, Alessandro Rosotto, Gianfranco Bellardi.
Lo Statuto dell’ASAC non poteva non ricalcare nelle sue linee guida fondamentali quello della Società Accademica, pur essendo più particolareggiato e adeguato ai tempi, ben specificando tra l’altro la “durata illimitata” dell’Associazione stessa. Qualche giorno dopo la costituzione ufficiale, si passò alla distribuzione delle cariche sociali, che videro le nomine del Presidente avvocato Domenico Forchino, del “Vice” ingegner Giuseppe Ravera, del Segretario professoressa Laura Bertolotti Aluffi, del Tesoriere dottor Lorenzo Faletto. Da notare che nello Statuto la durata delle cariche veniva portata a cinque anni, rispetto al triennio della SASAC.
Naturalmente, trattandosi a tutti gli effetti di un nuovo organismo, rimettere in moto il meccanismo editoriale si rivelò se non difficoltoso, certo un po’ più lungo del previsto, tant’è che le prime pubblicazioni marchiate ASAC videro la luce nelle settimane tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002. Insieme al Bollettino, che comprendeva dieci contributi, la prima monografia distribuita fu quella dedicata all’ispettore scolastico Antonio Barasa. Era l’inizio, in verità un tantino in sordina, di quella che si rivelerà un’attività editoriale piuttosto intensa, che negli anni si affiancherà a iniziative di vario genere (convegni, conferenze, presentazioni, partecipazioni a eventi culturali, mostre, e così via), come espressamente richiesto dai Soci in occasione delle assemblee annuali.
Nel corso di un ventennio abbondante sono state distribuite ai Soci quasi quaranta monografie, quindi una media di due all’anno. Fra di esse spiccano indubbiamente i cinque volumi della riedizione (con traduzione in italiano e l’aggiunta del Glossario) del Corpus Statutorum Canavisii di Giuseppe Frola, curata da Francesco Razza. Ma l’elenco comprende opere importanti, come le Memorie di Giacomo Naretti (a cura di Alberto Sbacchi e Gino Vernetto), il libro sui Pifferi e Tamburi del Carnevale d’Ivrea, la biografia del Generale Ettore Perrone (di Roberto Damilano), la storia del Convento di San Francesco, il volume sul pittore calusiese Giuseppe Falchetti (di Ferdinando Viglieno-Cossalino), i due testi sul Giacobinismo canavesano (di Adriano Collini), la biografia del fotografo eporediese Bernardo Perazzone (con le immagini inedite scattate durante la Grande Guerra, a cura di Fabrizio Dassano ed Elisa Benedetto), la storia di San Savino e del suo culto (di Giuseppe Aluffi), la biografia del sangiorgese Angelo Penoncelli (di Giuseppe Fragiacomo), l’indagine storica sul Carnevale d’Ivrea (di Danilo Zaia).
Un discorso a parte merita il lavoro di Guglielmo Berattino avente per protagonista la Biga etrusca di Monteleone di Spoleto: grazie alla documentazione inedita custodita nella Biblioteca Civica “Nigra” di Ivrea, l’autore vi illustra le fasi del trafugamento del reperto avvenuto nei primissimi anni del Novecento, vicenda che ebbe per principali artefici dei canavesani illustri. A distanza di oltre un secolo, il “Golden Chariot” che fa bella mostra di sé al Metropolitan Museum di New-York è così tornato prepotentemente alla ribalta, anche a livello nazionale, destando un interesse diffuso che in molti confidano possa sfociare nell’auspicabile rimpatrio dell’importante reperto finito truffaldinamente negli U.S.A.

Certo è nell’ordine delle cose che cammin facendo purtroppo le fila di un’associazione si assottiglino anche per effetto della scomparsa dei suoi componenti. E ogni volta che la cosa si verifica ci si sente più soli e più poveri, perché ognuno di noi racchiude in sé un patrimonio di conoscenze e di memorie che è praticamente impossibile salvaguardare in toto. Negli ultimi anni l’ASAC. ha dovuto fare – suo malgrado – piuttosto sovente questa riflessione, a maggior ragione quando sono venute a mancare delle figure storiche dell’Associazione, in passato artefici di opere frutto dei loro studi e delle loro ricerche d’archivio, figure che per tutti noi costituivano un punto di riferimento fondamentale grazie alla loro esperienza maturata sul campo. Ne ricordiamo alcune.
Carlo Fiore ha fatto parte del Consiglio Direttivo prima della SASAC e poi dell’ASAC, dispensando generosamente scampoli di saggezza e conoscenza che gli amici dell’Associazione consideravano preziosi, specie nella gestione dei momenti più travagliati della vita sociale. Nato a Chivasso nel marzo 1922, Carlo Fiore si laureò in Filosofia presso l’Università di Torino nel 1949 e ben presto individuò nell’insegnamento la missione della sua vita. Dopo alcune esperienze tra Svizzera e Aosta, approdò a Ivrea nell’anno scolastico 1963/64: dal Liceo Scientifico passò l’anno successivo al Classico “Botta”, dove fu titolare della cattedra di storia e filosofia fino al 1987. Sul fronte editoriale, ne ricordiamo la biografia del Generale Ettore Perrone, scritta nel 2002 in occasione del restauro del monumento sull’omonima piazzetta eporediese, distribuita dall’ASAC, oltre a numerosi articoli pubblicati sui nostri Bollettini, su personaggi come Arduino, Tommaso Valperga di Caluso, Costantino Nigra. Naturalmente, da docente del Liceo che porta il suo nome, egli si è occupato più volte dello storico-letterato Carlo Botta, mentre il suo esordio risale al 1951, con la pubblicazione Vita e arte di Demetrio Cosola pittore chivassese. Gradevolissimo conferenziere, il prpfessor Fiore aveva anche raccolto in un volumetto una consistente serie di interventi tenuti al Rotary Club d’Ivrea. Carlo Fiore (che faceva parte fin dal 1957 dell’Académie Saint-Anselme d’Aoste), morì nel settembre 2020, ad appena diciotto mesi dal traguardo del secolo.
Gian Savino Pene Vidari, laureato in Giurisprudenza nel ʼ63, era presidente della Deputazione Subalpina di Storia Patria, direttore della Rivista di Storia del Diritto italiano, nonché membro di numerosi sodalizi, tra cui l’Accademia delle Scienze di Torino. Ma, da canavesano verace quale egli era (nacque a Favria nel 1940), era entrato giovanissimo nella Società Accademica di Storia e Arte Canavesana, partecipando con passione e generosità alla sua attività sino alla repentina scomparsa, avvenuta all’Ospedale di Aosta nel novembre 2020, quando ricopriva la carica di vice presidente. Oratore sopraffino, Pene Vidari ha dato alle stampe un’infinità di interventi soprattutto in ambito storico-giuridico, materia nella quale possiamo ben dire non avesse rivali. Una quarantina sono le monografie di cui è stato autore o da lui curate. Per gli eporediesi l’elenco non può non iniziare con i tre volumi degli Statuti del Comune di Ivrea, usciti tra il 1968 e il ʼ74, mentre fra i titoli pubblicati dalla SASAC dobbiamo citare la biografia della beata Madre Antonia Maria Verna, Una famiglia canavesana e popolare nel sec. XVIII (del 1978) e il saggio Violazioni commerciali ed applicazione pratica del diritto statutario nei primi anni della dominazione sabauda in Ivrea (1313-1347), del 1970, mentre nel 2017 è stato curatore con Franco Macocco del volume Avvocati canavesani. Tra le puntuali e circostanziate prefazioni di Pene Vidari segnaliamo quelle alla riedizione del Corpus Statutorum Canavisii e al Ricordo del Presidente Giuseppe Ravera, mentre l’ultimo dei suoi tanti contributi comparsi sul Bollettino è del 2019: La personalità delle donne dell’ormai estinta famiglia Ruffini.
Roberto Damilano è stato per diversi decenni un prolifico collaboratore delle edizioni SASAC prima e ASAC poi, classico esempio dello storico “autodidatta”, in cui la passione per la ricerca supplisce ampiamente alle carenze formative derivate da un percorso scolastico e da un’attività professionale (nel suo caso di tecnico della ormai “vecchia” Sip) apparentemente poco in sintonia con quelli di uno studioso-ricercatore. Per avere la conferma di quanto appena enunciato, è sufficiente scorrere gli indici di questo catalogo, che ci snocciolano una dopo l’altra le biografie da lui curate: Luigi Palma di Cesnola, Giacomo Pavetti, il generale Allemandi, Ettore Perrone di San Martino, probabilmente la sua opera più importante. Per un buon quarantennio i nostri Bollettini di Roberto Damilano hanno pubblicato pressoché annualmente i suoi contributi, in gran parte di argomento militare e relativi al periodo risorgimentale, di cui egli era indiscutibilmente uno dei massimi esperti canavesani. Damilano (mancato nel gennaio 2023 a 79 anni) è stato inoltre autore di numerosissimi articoli storici apparsi dagli anni Settanta sino ai giorni nostri sui periodici locali, quali la Sentinella del Canavese e il Risveglio Popolare.

Nel 2023 il maggiore e più longevo sodalizio storico-culturale presente sul territorio canavesano raggiunge quindi felicemente i 65 anni. Un traguardo invidiabile sotto tutti i punti di vista e tutt’altro che scontato anche fra i più ottimisti che ebbero la ventura di assistere alla nascita della SASAC, nell’ormai lontano 1958.
Attualmente l’ASAC, nonostante qualche difficoltà legate alle risorse umane ed economiche registratesi nell’ultimo ventennio, gode di buona salute e anche se nel tempo ha dovuto accusare una notevole contrazione dei soci, oscillanti oggi tra i 210 e i 230 iscritti (all’incirca un terzo di quelli dei tempi d’oro), possiamo ben dire che già da diversi anni ha trovato un assetto organizzativo in grado di garantirle un futuro sereno.
Il merito di questa ritrovata stabilità va indubbiamente ai Direttivi succedutisi a partire dal 2001: a quelli relativi a due mandati guidati dal presidente Forchino è seguito nel 2011 il Direttivo retto da Laura Bertolotti Aluffi, alla quale è subentrato nel 2016 Tiziano Passera, tuttora in carica. Nel dettaglio, il Consiglio Direttivo che vedrà scadere il suo mandato nella primavera del 2026 è composto da undici elementi: Presidente Tiziano Passera, Vice Presidente/Segretario Adriano Collini; Consiglieri Enzo Actis Dana, Fabrizio Dassano, Lorenzo Faletto, Giuseppe Fragiacomo, Lauro Mattalucci, Franco Quaccia, Maria Jose Ragona, Alda Rossebastiano, Fabrizio Topatigh. Il Collegio dei revisori dei conti comprende Mario Farcito, Felice Robone ed Ettore Sartoretto Verna.
Una compagine ben affiatata, che consente all’ASAC di guardare con fiducia al futuro, almeno quello più immediato. Con la speranza di andare più lontano possibile, inoltrandosi con impegno, oculatezza e solerzia nel Terzo Millennio.