Una presenza misteriosa ed inquietante nell’Inferno dello Spanzotti


Project Description

È del 1958 il saggio di Giovanni Testori sul ciclo della Vita e Passione di Cristo realizzato tra il 1485 ed il 1490 da Giovanni Martino Spanzotti nel tramezzo della chiesa di San Bernardino ad Ivrea; eppure esso è ancora oggi, come osservava Giovanni Romano, «il punto più alto della fortuna critica del pittore piemontese». Concentrando la sua attenzione sulla qualità pittorica e sulla poetica che i diversi riquadri del ciclo esprimono, Testori tralascia completamente di parlare degli affreschi che troviamo negli spazi (pennacchi e semipennacchi) compresi tra le tre arcate del tramezzo e la trabeazione che, da sinistra a destra, contengono le raffigurazioni della Cacciata dal Paradiso  Terrestre, del Giudizio Universale, dell’Inferno e del Purgatorio. Anche le analisi critiche successive fino a pochi anni fa tralasciarono completamente questa fascia inferiore del tramezzo, quasi a ribadire che non è in queste rappresentazioni dell’aldilà che si esprime il senso «più umano che umanistico» del messaggio evangelico realizzato dal pittore casalese e sollecitato dai Frati Minori Osservanti, suoi committenti(1).
Eppure è anche su questi dipinti che s’incentra l’interesse di molti visitatori, non foss’altro perché si possono vedere da vicino. È ovviamente l’Inferno, con le scene macabre dei supplizi, che cattura maggiormente l’attenzione e sollecita la richiesta di delucidazioni (Fig. 1).
A rispondere per primo a tale esigenza è stato uno studioso di vaglia, Carlo Finocchietti, che, tra l’altro, è artefice di un sito internet con una vastissima raccolta di rappresentazioni dell’Aldilà  accuratamente illustrate e commentate(2).

Fig. 1: Martino Spanzotti, Inferno, Chiesa di San Bernardino, Ivrea, ca. 1485
Fig. 1: Martino Spanzotti, Inferno, Chiesa di San Bernardino, Ivrea, ca. 1485

Un’interpretazione iconografica ancora più accurata è stata proposta nel 2021 dal professor Andrea Gamberini(3). Si parte dal riconoscimento di come la scena infernale sia suddivisa in sette antri, ognuno presidiato da un diavolo che regge un cartiglio con il proprio nome; in ciascun antro sono puniti i peccatori che si sono macchiati di uno dei setti peccati capitali (accidia, gola, invidia, ira, lussuria, avarizia, superbia). A partire da questo l’autore dà minuziosamente dà conto del significato di ogni singola figura dipinta dallo Spanzotti. Per quanto accurata sia la descrizione – stante l’irriducibile elemento di soggettività interpretativa connesso natura stessa del linguaggio iconico – sono sempre possibili dubbi su specifiche attribuzioni di senso.
Ci occupiamo in questo scritto di una sola figura che incontriamo nell’atrio degli avari posto sotto le insegne di Mammona. Si tratta del personaggio che vediamo sdraiato a terra su un fianco, con le mani ed i piedi legati, la testa avvolta in un singolare copricapo, una borsa appesa al collo ed un cesto di vimini legato in vita; sotto di lui sembra esservi una pozza di sangue, mentre una serie di bambini ignudi lo stanno schernendo e tormentando, e tutt’intorno a lui sono sparsi fogli scritti (Fig.2).

Fig. 2: Particolare dell’uomo con la borsa al collo
Fig. 2: Particolare dell’uomo con la borsa al collo

La iconografia di un peccatore con una borsa di denari appesa al collo risale al XII secolo (Fig. 3), quando – in presenza di uno sviluppo economico che andava determinando, assieme ad un maggior bisogno di moneta, la diffusione del credito – la Chiesa, in omaggio al dettato delle Scritture, condannava severamente la crescente pratica della usura, considerata come violenza contro Dio(4).

3 Fig. 3: Autun, Chiesa di San Lazzaro, particolare dei rilievi del portale con al centro la raffigurazione di un usuraio, 1130-1135
3 Fig. 3: Autun, Chiesa di San Lazzaro, particolare dei rilievi del portale con al centro la raffigurazione di un usuraio, 1130-1135

La raffigurazione dell’usuraio attraverso il simbolo della borsa al collo proseguì nel tempo. Poco meno di due secoli dopo, Dante colloca gli usurai nel terzo girone del VII cerchio dell’Inferno: portano al collo una borsa, evidente simbolo della loro colpa, con inciso sopra di essa lo stemma della famiglia cui appartennero in vita.
Bastano queste osservazioni per affermare che il personaggio dipinto nell’antro degli avari è un usuario? Si tratta solo di un indizio che, per quanto importante, non può essere inteso come definitivo stante il significato polisemico, cangiante nel tempo, di questa sorta curiosa di pathosformel(5). Per avere una interpretazione più attendibile occorre considerare il contesto socioculturale in cui si colloca il dipinto e si debbono ovviamente decodificare tutti gli altri elementi simbolici che compaiono nella scena.
Siamo in una chiesa dedicata a San Bernardino da Siena, il santo più rappresentativo del fervore di rinnovamento morale portato avanti nel XV secolo dai Frati Minori Osservanti, noto per la sua infaticabile itinerante opera di proselitismo(6) e per l’efficacia dei suoi sermoni. Stante il carisma del santo che ha certamente improntato di sé le vicende del convento eporediese(7), è innanzi tutto nella sua predicazione che deve essere ricercato il significato del nostro personaggio e della nostra scena.
Sono noti a questo riguardo i violenti attacchi che San Bernardino sferra contro l’usura praticata a scapito del bene comune, dove a fronte del guadagno di ricchi speculatori, si ha la caduta in povertà di tanti operosi cittadini: «Io ve ne farò una predica di questa usura – dice rivolgendosi alla classe mercantile nella predica VII – e farolla per modo, che se fusse di mezzo gennajo, voi sudarete che gittarete gocciole così grosse …». Trova dunque sostegno in queste reprimende ed altre simili la nostra ipotesi sulla identificazione della figura posta tra gli avari con quella dell’usuraio.

Nella predica XXXV, San Bernardino lancia agli usurai che «stanno legati ne le mani del diavolo» il seguente ammonimento «O usuraio che hai prestato e furato già cotanto tempo, e beiuto il sangue de’ povari, quanto danno hai fatto, e quanto peccato contra al comandamento di Dio!» Ed ancora, nella predica XXXVIII, contro l’usura, capestro dei poveri, egli ribadisce l’ammonimento: «O usuraio, o divoratore de’ povaretti, tu sarai anco punito del fallo tuo»(8)
Pare possibile utilizzare questi moniti come chiave di lettura della scena: i fanciulli sono i ‘povaretti’ (ovvero le loro anime(9)) e se da vivi fu l’usuraio a tormentarli ed a succhiare il loro sangue, ora sono loro, secondo la legge del contrappasso, a sottoporre l’usuraio – ormai legato in eterno nelle mani del diavolo – agli stessi tormenti: le angherie subite si trasformano in angherie agite. Dì più, così come l’usuraio è entrato in modo devastante nella loro vita taglieggiando le loro sostanze, così essi entrano nella pelle dello strozzino dopo averla cosparsa di tagli (Fig. 4).

Fig. 4: Particolare delle anime delle vittime che entrano nella pella dell’usuraio.
Fig. 4: Particolare delle anime delle vittime che entrano nella pella dell’usuraio.

In terra sono sparsi i fogli dei libri dei crediti, altro simbolo – assieme alla borsa dei denari – dell’usuraio. Il biglietto che una delle anime mostra nella figura e potrebbe essere un biglietto di scambio monetario (quale un ordine di pagamento), connotante lo sviluppo del sistema bancario nel XV secolo. Il cestino legato in vita – un’insolita iconografia – potrebbe verosimilmente contenere preziosi dati in pegno. Il copricapo che la nostra inquietante figura indossa dovrebbe essere un capperone (dal francese chaperon), una sorta di berretta ampiamente usata anche dalle persone abbienti (come appunto i banchieri, Fig. 5) che qui pare esser fatta di pelliccia.

È però la terza figura, quella in primo piano, a meritare ogni attenzione, perché ripropone con forza la
questione – cruciale per gli Osservanti – della malagiustizia. Lo Spanzotti mostra un giudice disteso su
un fianco, con le mani e i piedi legati, due grosse scarselle al collo e alla vita, e tutt’intorno una distesa
di carte giudiziarie: le prove della sua corruzione. La pena inflitta al peccatore è chiaramente ispirata al
contrappasso: così come in vita egli dispose 1o strazio delie carni altrui, cosi da morto il suo corpo
subisce un analogo tomento. Ma qui subentra un elemento di grande originalità anche sul piano
iconografico: esecutori della giustizia divina sono, infatti, dei fanciulli, ovvero coloro che nei rituali di
tipici delle società urbane alla fine del medioevo erano incaricati dell’espulsione dei nemici della
comunità (in ragione sia della loro purezza, che li preservava dalla contaminazione, sia del loro
rapporto privilegiato con la sfera del divino). L’affresco dello Spanzotti li mostra intenti a trapassare
col proprio corpo quello del giudice corrotto, provocandogli lacerazioni e sanguinamenti, in quello che
sembra il compimento di un vero e proprio rituale giudiziario, del quale sono esplicita testimonianza
proprio 1e azioni compiute dai putti […]. È naturalmente possibile che questi fanciulli vindici
raffigurino in realtà delle anime, secondo le convenzioni figurative del tempo, anche se nulla autorizza
a vedere in essi le vittime dei soprusi dell’officiale.»

Non pare del tutto convincente il fatto che nell’antro infernale la giustizia divina faccia uso di fanciulli ‘in ragione della loro purezza’, né il modo in cui viene in questo caso applicata la legge del contrappasso, ma l’interpretazione, sostanzialmente tiene. Anche la corruzione dei magistrati è bersaglio degli strali morali dell’Osservanza, il personaggio che si arricchisce attraverso la manipolazione delle sentenze è posto nella spelonca degli avari, le carte sparse a terra potrebbero essere le sue inique sentenze … La sola ragione per preferire l’identificazione del nostro personaggio con un usuraio anziché con un giudice prevaricatore e corrotto, sta nel fatto che la prima fa riferimento ad un’ampia casistica iconografica (l’usuraio è in assoluto il principale riferimento per ‘l’uomo con la borsa al collo’(10)), mentre la seconda è del tutto rara(11). Se valesse la seconda ipotesi, dato che il messaggio deve arrivare al vasto numero dei fedeli, è improbabile che esso possa ottenere il suo effetto senza l’ausilio di una qualche didascalia, che però non troviamo nel dipinto di Spanzotti. Tanto più che le fonti storiche riguardanti il Canavese non paiono testimoniare esempi di espulsioni dalla comunità eseguiti attraverso un rituale che chiama in causa i bambini, mentre la lotta all’usura trova riscontro in diversi statuti comunali(12).

Fig. 5 Miniatura rappresentante la professione bancaria, Seminario patriarcale, Venezia, XV secolo (il banchiere con abiti rossi e blu porta in capo il capperone)
Fig. 5 Miniatura rappresentante la professione bancaria, Seminario patriarcale, Venezia, XV secolo (il banchiere con abiti rossi e blu porta in capo il capperone)

Tutto sembra a questo punto chiarito in merito alla identità del nostro misterioso personaggi: si tratta di un ricco mercante o un banchiere che pratica l’usura. Tuttavia si può ben dire che la lettura iconografica di un dipinto lascia sempre margini di incertezza.
Come sopra accennato, si è espresso di recente sulla raffigurazione spanzottiana dell’Inferno Andrea Gamberini, un importante medievista che mostra grande attenzione alle testimonianze artistiche come metodo per fare ricerca storica. Leggiamo cosa scrive a proposito dell’identità del nostro personaggio:


  1. Una piccola accezione è rappresentata dal poeta e critico letterario Yves Bonnefoy che adottò l’immagine della Cacciata dal Paradiso Terrestre per la copertina della prima edizione di un suo saggio, L’Arrière-Pays, un’indagine sul senso della poesia e dell’arte. Una più consistente eccezione è l’inserimento da parte di Guido Gentile, in un suo saggio dell’interpretazione iconografica del Giudizio Universale (G. GENTILE, Motivi e strutture del racconto negli affreschi di Giovanni Martino Spanzotti in San Bernardino a Ivrea, «Bollettino della Società piemontese di archeologia e belle arti», Nuova Serie, LVI, 2005).
  2. L’indirizzo del sito è https://visionialdila.wordpress.com/. La pagina intitolata Ivrea. L’Aldilà visto da Gian Martino Spanzotti è consultabile all’indirizzo https://visionialdila.wordpress.com/2019/07/11/ivrea-laldila-visto-da-gianmartino-spanzotti/.
  3. A. GAMBERINI, Inferni medievali, Roma 2021, pp. 112-116.
  4. Sulle condanne bibliche dell’usura vedasi J. LE GOFF, La borsa e la vita, Roma 2001, p. 14 sgg. Com’è noto la Chiesa ha a lungo condannato ogni forma di prestito di danaro (in cui, a fronte di una somma prestata, si esige dopo un dato periodo di tempo, una somma maggiore) come peccato grave perché ciò che si vende in realtà è il tempo, che è di Dio.
  5. Con il termine pathosformel coniato da Aby Warburg si intendono alcune immagini archetipiche che, nella storia dell’arte, ritroviamo in secoli e contesti differenti. Sulla immagine medievale dell’uomo con la borsa al collo punito all’inferno utilizzata per rappresentare avari, usurai, peccatori, eretici, banditi e scomunicati va citato, per ampiezza rigore d’indagine, G. MILANI, L’uomo con la borsa al collo. Genealogia e uso di un’immagine medievale, Viella, Roma 2017.
  6. Sappiamo che il santo era stato anche in Canavese: a Rivarolo nel 1418, e verosimilmente, in quell’intorno di anni, anche ad Ivrea.
  7. Ne sono testimonianza gli affreschi eseguiti nella chiesa prima dell’arrivo di Martino Spanzotti, specie quelli (pochissimo studiati) presenti nell’antica chiesa dei frati.
  8. 8 Non pare senza significato il fatto che tra l’inventario dei libri che erano presenti nel convento eporediese di San Bernardino, compaia il testo Tractatus de contractibus et usuris scritto da San Bernardino da Siena. Cfr. S. TAPPARO, Le biblioteche conventuali di San Bernardino in Ivrea e Chivasso alla fine del secolo XVI, Ivrea 1979.
  9. Una convenzione iconografica assai diffusa nel Medioevo raffigura le anime come bambini; essa è qui presente anche nel primo registro ove si vedono un vescovo ed un altro personaggio portare nelle gerle che hanno sulle spalle quelli che sembrano infanti, ma che in realtà sono anime di peccatori che vengono rovesciate nelle profondità infernali.
  10. MILANI, L’uomo con la borsa cit. pp. 25 – 45. Il capitolo I del testo è significativamente intitolato ‘L’usuraio individuato e colpito’.
  11. Il solo riferimento che troviamo nell’ampia documentazione fotografica presente nel citato sito di Carlo Finocchietti è dato dalla raffigurazione dell’infermo che troviamo a Montegrazie, nella chiesa di Nostra Signora delle Grazie (esaminata anche da Andrea Gamberini); in essa solo un cartiglio consente di individuare i ‘falsi judices’ sottoposti a tortura.
  12. Vedasi la voce ‘Usura’ in F. Razza, Glossario. Corpus Statutorum Canavisii, Ivrea, ASAC, 2008, p. 725sg.

di Lauri Mattalucci
del 11/10/ 2023
lauro.mattalucci@gmail.com